La guerra, specialmente l’ultima, la seconda guerra mondiale è una fonte inesauribile di racconti tragici. Fame, distruzione, miseria, sopraffazione, morte, morte e ancora morte, ma soprattutto, mancanza, assenza, vuoto e disperazione.
Anche dalle nostre parti, sebbene in maniera minore che in altri luoghi limitrofi, i racconti della guerra ricalcano lo scenario conosciuto e tragico ma, come a volte fiori solitari nascono dal fango e ci rallegrano la vista, alcune storie, come quella che mi accingo a raccontare, ci fanno sorridere pur tra tanta sofferenza a testimonianza di come la forza della vita, l’ironia, sebbene amara, ci salvino e ci aiutino a superare anche le cose più dolorose.
Mio cugino, grande bevitore dalla parlantina sciolta, soprattutto dopo qualche bicchiere di quello buono, mi raccontò un giorno questo episodio che mi fece ridere fino alle lacrime un po’ per il racconto stesso, un po’ per il modo suo di raccontare spassoso. Non è affatto facile raccontare cose divertenti in modo da rendere la giusta atmosfera, il giusto ritmo, la giusta dimensione.
Negli anni della guerra anche la nostra zona brulicava di tedeschi. Il fronte non era così lontano e tutti sappiamo dei forti bombardamenti subiti da paesi a noi vicini come Massa D’Albe e la stessa Avezzano. A tal proposito ricordo l’immagine suggestiva scritta da un bimbo di mia conoscenza che aveva la nonna originaria di Tremonti. Luigi, così si chiama il bimbo, scrisse in un suo tema “ Mia nonna ha visto la guerra e i bombardamenti dalla finestra della sua casa” poiché Tremonti si trova in alto, sopra Tagliacozzo e i bombardamenti avvenivano sulla piana di Avezzano che era più in basso. E l’immagine immobile e silenziosa di questa adolescente, dietro i vetri di una finestra, che guarda gli aerei sganciare bombe, come guardasse un film, con il rombo dei motori, cupo, attutito dalla lontananza e dai vetri chiusi,che le rimbomba nelle orecchie, mi parve così surreale da risvegliare im me echi di incubi infantili mai superati.
A Santa Anatolia, i tedeschi, avevano stabilito il loro quartiere generale a casa dei Placidi e si narra di urla e pianti provenire dal Villino con il tetto di ardesia, di gente torturata e forse uccisa. Di donne straniere dalle lunghe trecce bionde, sepolte clandestinamente in tutta fretta, nel cimitero ed anche di gente morta per le bombe o inseguita e uccisa a fucilate dopo una spiata.
Insomma tutto ciò che possiamo immaginare che potesse accadere in un quartier generale tedesco, o durante un’occupazione nemica, credo sia avvenuto anche da noi.
Mia zia Maria, un giorno che era andata a prendere l’acqua alla fonte Abballe e tornava a casa con la conca di rame in bilico sulla testa, ad un tedesco che le chiedeva qualcosa sbarrandole il passo, rispose terrorizzata: ” vaffanculo!” e fuggì spandendo acqua lungo il cammino, tenendo la conca con tutte e due le mani, inseguita dalle risate beffarde del soldato tedesco.
All’epoca la strada che collegava Avezzano a Santa Anatolia era ancora bianca, non asfaltata e le comunicazioni avvenivano con mezzi di fortuna, soprattutto con carretti dalle grandi ruote di legno, trainati da muli o asini o con qualche rara macchina.
Anche da noi ci fu chi combatté clandestinamente contro l’occupante tedesco, ci furono vittime e collaborazionisti, nonché ragazze che si concessero al nemico per convenienza o per divertimento.
Un giorno, una di queste persone legate ad un gruppo clandestino di resistenza, un corvarese, stava trasportando, con un carretto, un carico di esplosivo da Avezzano a Corvaro. L’esplosivo era mimetizzato sotto botti di vino varie e paglia. Il povero diavolo con l’ansia alla gola, andava incitando di tanto in tanto il mulo, con un leggero colpo di frusta, non vedendo l’ora di arrivare alla sua meta. Il viaggio si prospettava lungo, sia perché doveva andare piano a causa del suo carico, sia perché il mulo più di tanto non poteva dare.
La paura faceva si che il povero carrettiere pregasse in continuazione il Signore che nulla avvenisse lungo il tragitto, in modo da farlo arrivare sano e salvo alla meta.
Così, pregando ed imprecando alternativamente a seconda delle situazioni, procedeva lentamente lungo la strada polverosa e sconnessa.
Appena dopo Magliano, con il sole del pomeriggio che gli faceva lacrimare gli occhi e con la polvere della strada che gli seccava la gola, vide un’ombra lontana sul ciglio della strada, ferma, in attesa apparente di un passaggio. Avvicinandosi capì che si trattava di un soldato tedesco.
” Cavolo! E mò che faccio?” pensò disperato.
Il carrettiere, in preda alla paura, avrebbe voluto cambiare strada, ansioso si guardò intorno, ma non vide vie di fuga possibili e proseguì sul suo cammino.
Fischiettando, cercando di apparire il più innocente possibile, cercò di passare oltre facendo mostra di non essersi accorto del soldato. Sfortunatamente però, quest’ultimo lo fermò con un gesto della mano e senza chiedere niente si issò a bordo del carretto, al suo fianco.
Subito il soldato si mise a parlare giovialmente nel suo stentato italiano, facendo mille domande, alle quali, il carrettiere rispondeva a mugugni.
“Povero me” pensava “se s’accorge di cosa trasporto sono finito!”
Il tedesco intanto, volendo fare il simpatico, chiacchierava a più non posso tra mille “ach” “was”, mille “gut”, commentando il paesaggio e ridendo di sue spiritosaggini, che il povero diavolo, in preda allo sconforto, neanche riusciva a capire. Il poveretto riusciva solo ad annuire ed a sorridere a denti stretti!
Poi, con suo sommo terrore, il tedesco si accese una sigaretta e scuotendo il fiammifero in aria per spegnerlo, lo buttò dietro di sé con noncuranza.
Il fiammifero disegnò una parabola in aria ed atterrò tra le botti di vino.
Il carrettiere sapendo ciò che c’era sotto la paglia sbiancò dalla paura ma stette zitto e pregò Dio che lo aiutasse. Nel frattempo, il tedesco, continuava a parlare e mentre parlava tirava lunghe soddisfacenti boccate dalla sua sigaretta, scrollando la cenere sul piano del carretto, sopra l’esplosivo.
Ogni tanto, vedendo che il suo interlocutore non rispondeva, preda di un mutismo terrorizzato, chiedeva:
“cosa dire tu?” e riprendeva a parlare senza attendere la risposta, chiedendo di questo e di quello e a buttare la cenere sull’esplosivo.
Boccata dopo boccata la sigaretta era finita, non rimaneva che la cicca con la punta incandescente.
Il tedesco , dopo aver fatto l’ultimo tiro, la spense in malo modo sul fianco del carretto e, sotto gli occhi terrorizzati del povero Cristo, la buttò dietro di sé tra le botti, sopra l’esplosivo. Nel buttarla fece l’ennesima domanda al carrettiere:
“allora, dimmi, cosa dire tu?”
“Ehhhhh!” disse il poveretto rassegnato
“ E che te pozzo dì? Come volemo ji vauti!!!!!”